Autore: Annie Ernaux
Paese: Francia
Pagine: 107
Traduzione: Lorenzo Flabbi
Anno di pubblicazione: 2014
Prima di iniziare a parlare del libro è essenziale introdurre lo stile dell’autrice. La sua scrittura viene definita piatta, come la lama di un coltello e nel libro “Il posto” cerca di definirla:
“Da poco so che il romanzo è impossibile. Per riferire di una vita sottomessa alla necessità non ho il diritto di prendere il partito dell’arte, né di provare a fare qualcosa di “appassionante” o “commovente”. Metterò assieme le parole, i gesti, i gusti di mio padre, i fatti di rilievo della sua vita, tutti i segni possibili di un’esistenza che ho condiviso anch’io. Nessuna poesia del ricordo, nessuna gongolante derisione. La scrittura piatta mi viene naturale, la stessa che utilizzavo un tempo scrivendo ai miei per dare le notizie essenziali.”
L’autrice per aiutare il lettore a comprendere quel distacco, quella piattezza della narrazione della vita di una persona a lei cara, il padre, che non c’è più, aggiunge due o tre passaggi in cui parla degli intenti che ha nelle pagine che sta scrivendo. La Ernaux dice proprio: “…mi strappo via dalla trappola dell’individuale.”, perché vuole evitare i patetismi, il sentimentalismo, la commozione, vuole raccontare della vita del padre, una vita qualunque, umile, che si delinei in modo oggettivo. La paura è di avere “l’impressione di perdere, strada facendo, lo specifico profilo della figura” del padre, “L’ossatura tende a prendere il posto di tutto il resto, l’idea a correre da sola.”, ma basta che l’autrice lasci scivolare le immagini del ricordo e lo rivede com’era, con tutti i suoi piccoli dettagli e le cose fatte insieme.
Nel libro ci sono diverse frasi o parole in corsivo o tra virgolette, proprio perché l’autrice vuole mostrare al lettore “i limiti e il colore del mondo” in cui visse il padre. Il padre aveva delle origini umili, contadine e il suo linguaggio era un misto di dialetto normanno e del francese. Oltre le parole in corsivo lungo il romanzo ci sono diverse descrizioni di foto, fatte in modo molto minuzioso e dettagliato, proprio per rendere l’idea di oggettività e di un’“Istantanea della memoria”.
Il libro è il ricordo della vita del padre di Annie. Si apre con un episodio qualunque della vita di lei; aveva passato il concorso per diventare professoressa di ruolo in un liceo e rispetto all’episodio iniziale il padre è morto due mesi dopo. Ecco come introduce nel libro la morte del padre:
“Mio padre è morto esattamente due mesi dopo. Aveva sessantasette anni e con mia madre gestiva un bar-alimentari in un quartiere tranquillo non lontano dalla stazione, a Y (nella Senna Marittima). Aveva intenzione di continuare a lavorare ancora per un solo anno.”
Il padre di Annie Ernaux.
Ci vengono narrati dei semplici fatti, in modo oggettivo, ma suscitano lo stesso delle emozioni forti in noi, la commozione la sentiamo. Lei descrive in modo molto semplice, limpido e oggettivo i giorni dopo la morte del padre: il suo ritorno in città, i funerali, lo stato della madre, la reazione delle persone che lo conoscevano. Questo periodo viene definito da lei: “Un periodo bianco, senza pensieri.”
Dopo il passaggio citato prima riguardo allo stile che vuole mantenere nel libro che sta scrivendo, inizia a narrare la vita del padre, dall’infanzia, all’adolescenza e all’introduzione immediata nel mondo del lavoro e delle fatiche. Il padre ha lavorato prima nell’azienda agricola di suo padre, poi in fabbrica, dove ha conosciuto la moglie e poi insieme alla moglie ha aperto una piccola attività commerciale, un bar-alimentari, a Yvetot, una piccola cittadina della Normandia. Nel 1940 nasce Annie, prima di lei avevano avuto un’altra figlia, di cui scriverà Annie nel libro “L’altra figlia”, che morì all’età di 7 anni a causa di una grave malattia.
Annie cresce e studia, ed è proprio lo studio a distaccarla ed allontanarla dal padre:
“Pensavo che per me non potesse più fare nulla. Le sue parole e le sue idee non erano quelle che circolavano nelle lezioni di letteratura o di filosofia, nei soggiorni con i divani di velluto rosso dei miei compagni di classe”
Il bar-alimentari dei genitori di Annie Ernaux.
Alla finestra si vede Annie Ernaux adolescente tra le due cugine.
La Ernaux dice proprio: “Forse scrivo perché non avevamo più niente da dirci.” Studiando lei entra nell’ambiente borghese e ne è affascinata, vuole entrarvi a far parte, sente di appartenere a quel mondo nonostante le sue origini e i suoi genitori. Sposandosi con un borghese diventerà a tutti gli effetti anche lei una borghese. Con gli anni si allontana dai genitori, li va a trovare molto raramente e mantiene con loro un legame molto distaccato e freddo, gli scrive per comunicargli ciò che accade nella sua vita in un modo molto freddo e distaccato, perché non ha più niente da condividere con loro oltre ai fatti oggettivi.
Un tema che viene ripreso in quasi tutte le opere dell’autrice è la vergogna dei genitori e delle proprie origini. Si vergogna dei genitori quando gli presenta il suo ragazzo, le sue amiche, perché i mondi a cui appartengono sono completamente diversi e lei paragonando i suoi genitori con quelli delle amiche si sente in difetto.
Yvetot, la cittadina della Normandia in cui è cresciuta Annie Ernaux.
Per andare all’università si trasferisce ed in seguito sposandosi e avendo il figlio resta sempre distaccata, lontana, da quella piccola città dove abitano i genitori e ne parla così:
“Con la lontananza avevo levigato l’immagine dei miei genitori, li avevo privati dei loro gesti e delle loro parole, due corpi gloriosi.”
Il libro è una splendida memoria del padre, leggera, scorrevole, un insieme di immagini, di ricordi, una vita. Gli intenti di “scrittura piatta” vengono mantenuti e riescono ad avvicinare il lettore alla narrazione molto di più rispetto al tipo di narrazione sentimentale. Queste centinaio di pagine scivolano sotto gli occhi del lettore come seta.
Un libro che suscita molte emozioni e ci fa sentire il sapore della vita umile di un padre, che ha sempre sostenuto la figlia e che ha saputo mettersi da parte, allontanarsi e tacere quando si è reso conto di non avere più nulla da insegnare e da condividere con lei. Anche chi non ha un padre, sente cosa si prova nel perderne uno.
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